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Vini e Vitigni della Costa d'Amalfi

La configurazione della Costiera Amalfitana ha una sua indiscussa scenografia. Lambisce il mare con un andamento da merletto antico e svetta verso il cielo con le cime dei monti.
Dalla costa alla catena dei Lattari, la strada e i terrazzamenti si avvitano in una serie di tornanti scavati nei fianchi della montagna. La poca terra, faticosamente portata quassù a spalla, riempie le zolle strappate alla roccia.
E' questo, da secoli, l'insediamento dei vigneti che hanno conquistato la DOC, sotto la denominazione Costa d'Amalfi, con le tre sottozone di Furore, Ravello e Tramonti.
Larghi in media non più di cinque metri, i terrazzamenti presentano un profilo irregolare imposto dall'anarchia della roccia. Ospitano in media quattro filari di viti disposti a pergola, grazie all'ordinata geometria fatta di pali di castagno.
Un tempo, la vite veniva impiantata sulla macèra (il muro verticale di contenimento realizzato senza malta sistemando le pietre l'una sull'altra), allo scopo di favorire il pieno utilizzo del terreno sottostante per le coltivazioni di stagione.
E qui va ricordato che il vignaiolo della Costiera è anche contadino e pescatore, perché in passato solo mettendo insieme il vino, i prodotti della terra e la pesca si riusciva a sbarcare il lunario. Il turismo ha sempre privilegiato la costa, per cui i paesi collinari, che pure arrivano al mare con strette lingue di terra, non ne hanno mai beneficiato.
E' l'altra faccia della Costiera, che proprio nella tutela di questo lungo isolamento ha trovato oggi il suo originale carattere e la sua carta vincente.
La zona DOC comprende in pratica l'intero territorio collinare della Costa d'Amalfi, da Vietri a Positano, anche se l'area più tradizionalmente vocata è quella delle tre sottozone: Furore, Ravello e Tramonti.
Far vino, qui, sulle balze dei Lattari, e in quei piccoli squarci di terra strappati alla roccia, ha sempre significato raggiungere un sapiente dosaggio tra le uve allevate: una composizione che non aveva regole fisse, ma che di volta in volta venivano suggerite dai diversi esiti della vendemmia.
Così l'uva più generosa cedeva il passo a quella più avara, attenti in ogni caso a non perdere l'equilibrio tra gusto, persistenza, profumi, tannino e acidità. Un mix affidato alla sapienza del vignaiolo alla sua antica confidenza nel gestire questo processo di vinificazione, tutto nel segno dell'empiria, regolato solo dalle notti di luna e dalla fiducia nei propri sensi.
Degli antichi vitigni, che hanno fatto la storia e la fortuna di questi vini, molti sono ancora produttivi (e per giunta su piede franco, perché la filossera non ha infestato la zona) e conservano nella denominazione l'impronta della loro origine e del loro destino: quello di uve domestiche, allevate a pergola in pochi metri quadri, per un uso quasi del tutto familiare.
Nomi suggestivi, lontani da qualsiasi circolazione ufficiale, ma ben noti ai grandi viaggiatori, da Ibsen a Gregoriovus, che la mitezza del clima portava a svernare in queste terre, allora del tutto estranee al dilagante fenomeno della balneazione.
Mi riferisco a vitigni come il Fenile, il Tronto di Furore, il Ripoli, il Pepella, la Ginestra fino al Tintore di Tramonti. Si tratta di uve strettamente legate al territorio, e in qualche caso esclusive dell'entroterra amalfitano.

I VITIGNI

Aglianico
E' il più diffuso vitigno del Sud, base di grandi vini a cominciare dal Falerno e dal Taurasi. Le aree privilegiate vanno dalla Campania al Vulture. Esistono più cloni da una comune matrice genetica. Vino morbido, con tannini ben fusi, presenta colore rosso, riflessi rubino e note di tabacco.
L'uva non presenta caratteristiche particolari. La sua identità, o meglio, ogni precisa connotazione, nasce solo nel momento in cui diventa vino. L'unico distinguo è dato dalle aree dove in prevalenza è allevata: l'Irpinia, il Taburno, il Napoletano, la Costa d'Amalfi e il Cilento.
Uva difficile da governare per la sua decisa potenza, matura piuttosto tardi e la vendemmia tra fine ottobre e i primi di novembre è di certo l'ultima in Europa per le uve rosse. Spesso l'incertezza del tempo e il rischio di perdere il raccolto spingono a vendemmiare appena il frutto raggiunge un giusto grado alcolico, E' un'anticipazione che l'Aglianico non perdona,
Il vino che nasce da uve non del tutto mature, presenta un elevato indice di tannino che ne altera gravemente l'equilibrio.
Oggi la sua fama è legata soprattutto al Taurasi. In Costa d'Amalfi l'Aglianico è presente per il 30% nell'uvaggio dei tre Rossi DOC di Furore, Ravello e Tramonti, di volta in volta insieme a Piedirosso, Serpentaria e Tintore. E' altresì utilizzato nella composizione dei Rosati.

Biancolella
Anche se il vitigno è in massima parte monopolio dell'isola d'Ischia (l'antica Aenaria), alimenta parecchi vini estranei all'isola, non esclusi quelli della DOC Costa d'Amalfi. Vinificato in purezza dà origine alla Doc Ischia Biancolella e, abbinato al Forastera, all'Ischia Bianco e Spumante, vini assai espressivi del terreno vulcanico in cui nascono.
Presente anche in qualche area del Napoletano, il Biancolella trova il suo habitat ideale nei terreni caldi, ricchi di lapilli. Ha subito nel tempo non poche corruzioni dialettali (Janculella, Janculillo), che ne confermano il nome e l'identità. Pur trattandosi di un uva antica ed esclusiva della Campania, è citata solo a partire dalla prima metà dell'ottocento, e non da tutti gli studiosi, il che avvalora i suoi ristretti confini.
Vitigno di media resistenza, offre in cambio una generosa resa, contenuti livelli zuccherini e bassa acidità. La Biancolella contribuisce all'uvaggio di parecchi vini DOC: Capri, Campi Flegrei, Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana, dov'è localmente detta Bianca Tenera.

Falanghina
Si contano due varietà di Falanghina. Quella originaria dei Campi Flegrei e quella cosiddetta di "tipo beneventano", a parte numerosi cloni.
Il nome pari derivi da phalangae, il palo di legno intorno al quale cresceva la vite, un sistema ancora presente nell'area di Pozzuoli.
Presenta da secoli in Campania ha la sua patria d'origine nella provincia di Napoli, e più propriamente nell'area flegrea. O meglio nel circondario tra Formia e Sessa Aurunca, antico territorio del Falerno. Di qui il nome Falernina, che Froio sul finire dell'Ottocento propone di dare a quest'uva. E' il vitigno prevalente nell'uvaggio delle più qualificate DOC della Regione, come il Campi Flegrei, il Falerno del Massico, il Capri, il Sorrento, il Costa d'Amalfi.
Ben altra cosa è, invece, la Falanghina tipo "beneventano".
E questo sia a livello di indagine ampelografia, che genetica. A cominciare dalla forma del grappolo: cilindrico, quello dei Campi Flegrei, conico-piramidale il beneventano.
L'acino è arrotondato nel primo caso ed ellittico nel secondo, L'acidità del mosto è bassa per l'uva napoletana ed elevata per quella del Sannio.

Fenile
Non esistono precedenti storici e letteratura, ma circola ancora l'interpretazione contadina del nome, da ricondurre al colore bianco-dorato dell'uva, assai vicino a quello del fieno. Allevato a pergola, con viti disposte in quadro, a gruppi di due/tre ceppi per posta, offre una produzione modesta per il basso peso del grappolo. L'uva matura tra la fine di agosto e i primi di settembre, e va raccolta subito, altrimenti la buccia quanto mai sottile dell'acino tende a marcire. Il livello zuccherino del mosto è piuttosto elevato, mentre l'acidità si mantiene su valori medi.
Presente soprattutto nel territorio di Furore, Positano e Amalfi, il Fenile è vitigno complementare della DOC Costa d'Amalfi, sottozona Furore.

Piedirosso
Tra i vitigni più tipicamente campani, il Piedirosso trova la sua maggiore diffusione della provincia di Napoli, area nella quale non manca di dare il meglio di sé. Si pensi in particolare ai Campi Flegrei (non esclusa l'isola d'Ischia) e alle grandi DOC cui fa da base: Per'e Palummo, Lacryma Christi, Gragnano, Lettere, Sorrento. Ma il Piedirosso rappresenta anche il vitigno prevalente nell'uvaggio del Costa d'Amalfi, nonché nella composizione ampelografica delle DOC Sannio Taburno e Sant'Agata dei Goti.
Il nome è quanto mai suggestivo e conferma la straordinaria fantasia dei napoletani nel tradurre la caratteristica del vitigno in immagine: Piedirosso, ovvero Per'e Palummo, dal rosso dei pedicelli degli acini che richiama il colore della zampa dei colombi.
Un aspetto, questo, comune anche ad altre varietà, così il nome è stato spesso impropriamente esteso ad alcune specie, che poco hanno da spartire con il Piedirosso. Vitigno storico, presente in tutta la regione, è oggetto di indagine solo a partire dai primi dell'Ottocento, per essere a metà del secolo confuso con il Dolcetto d'Alba. Poco generoso sul piano produttivo, offre un mosto dal livello zuccherino piuttosto elevato e un'acidità abbastanza contenuta. Di qui, forse, le molte lodi del vino e suo frequente accostamento all'Aglianico.

Ginestra
I primi riferimenti risalgono al 1825 e sono rimasti a lungo incerti, perché il vitigno - pur avendo caratteri simili a quello della Bianca Zita - era considerato una varietà distinta.
Solo mezzo secolo dopo si arriverà a definire la Ginestra, allevata nei comuni di Scala, Ravello, Amalfi, Maiori e Minori, sinonimo della Bianca Zita presente a Furore, Tramonti, Corbara e Positano.
Una comune identità definitivamente accertata dagli studi più recenti, condotti sulla base del DNA. Niente da spartire, invece, con la Falanghina, alla quale era stata impropriamente accostata nell'Ottocento.
Caratteristico il forte profumo di ginestra, da cui l'uva trae il nome.
Vitigno forte, richiede abbondanti potature e dà una discreta produzione, nonostante il peso piuttosto modesto del grappolo. Alla maturazione, il livello zuccherino risulta contenuto e l' acidità totale abbastanza elevata. Entra come vitigno complementare nella DOC Costa d'Amalfi Bianco.

Pepella
Altro tipico vitigno, esclusivo dell'entroterra amalfitano e parimenti del tutto ignorato dai testi di enologia. La denominazione pare sia riconducibile alla tipologia del grappolo, il quale presenta accanto ad acini di normale dimensione, acini piccolissimi come grani di pepe. Anche le sue origini in Costiera sono incerte e comunque abbastanza recenti. Si ritiene che il vitigno sia stato introdotto sulla fine dell'Ottocento in gran pare dei comuni alti, a nord di Maiori ed Amalfi, vale a dire a Tramonti, Ravello e Scala. Si tratta, in ogni caso, di uva che non ha larga diffusione e che spesso piò contare solo su poche piante, per giunta assai datate.
Come vitigno complementare concorre nelle sottozone Tramonti e Ravello della DOC Costa d'Amalfi Rosso. Matura tra la seconda e la terza decade di settembre, e presenta sia zuccheri che acidità piuttosto contenuti.

Ripolo
L'uva è ormai monopolio del territorio amalfitano, in particolare dei comuni di Furore e Positano, dove viene allevata a pergole, in piccole aree ed in pochi ceppi. Un tempo era assai diffusa sulle pendici dei Monti Lattari, soprattutto a Pimonte, a Gragnano e a Castellammare, dove tuttavia il suo insediamento risale solo alla seconda metà dell'Ottocento.
Come vitigno non è molto fertile, e la produzione è contenuta e non sempre costante. Questo, in particolare, per il peso del grappolo, che è quanto mai vario e in ogni caso inferiore a quello medio.

Sciascinoso
E' da sempre allevato in tutta la Campania, soprattutto in provincia di Avellino, sotto vari sinonimi: Sanginosa, Strascinuso, Olivella. Anche se trova il pieno riconoscimento e la migliore valorizzazione in area napoletana.
Vitigno robusto, non è in cambio molto fertile. I grappoli pesanti favosriscono invece una buona produzione. Il livello zuccherino modesto e l'acidità piuttosto elevata danno un vino acidulo e astringente, di intenso colore e di particolare gusto.
Utilizzato in prevalenza come vitigno complementare fa da base per la DOC Sannio Sciascinoso ed entra nella composizione del Rosso Campi Flegrei, del Rosso o Rosso Frizzante Penisola Sorrentina, e del Rosso e Rosato Costa d'Amalfi.
La sua destinazione più nobile, però, è quella legata all'uvaggio del celebre Lacryma Christi del Vesuvio, dove unitamente al Piedirosso è presente per l'80% nella tipologia Rosso.

Tintore
Le colline di Tramonti rappresenta la patria pressocché esclusiva di questo vitigno (le presenze nella Valle dell'Irno e nell'entroterra della costiera amalfitana sono assai modeste), che deve il suo nome alle sostanze coloranti di cui sono ricchi gli strati di cellule presenti al di sotto della buccia.
Tradizionalmente allevato a raggiera, non è molto fertile, ma garantisce un buon livello di zuccheri e di acidità totale. A Tramonti i vitigni sono quasi tutti a pergola e su piede franco. Pare - secondo le descrizioni degli ampelografi dell'Ottocento - che ci sia una certa antica affinità fra il Tintore, la Tintora di Lanzara, sempre nel salernitano, e l'Olivella Tingitora. Ma si limita solo ad alcuni caratteri: il rosso-vinoso del raspo, la maturazione precoce e il tipico appassimento degli acini.
Vinificato bene, dà un vino molto apprezzato ed entra nell'uvaggio della DOC Costa d'Amalfi Rosso, per la sottozona di Tramonti.

Tronto
Da sempre allevato in costa d'Amalfi, il vitigno è presente a piccolissime macchie anche in area napoletana, in particolare nella vigna dell'Eremo di San Martino, dove, per le sue affinità genetiche e morfologiche con l'Aglianico, prende il nome di "Aglianico di Napoli".
E' noto quanto questo vitigno - tra i più diffusi e nobili del Sud - vanti una ricca e varia tipologia, che non ha mancato di richiamare nel tempo l'attenzione degli studiosi.
Di qui l'ipotesi di un'identità del Tronto con l'Aglianicone, tipico di alcune aree del salernitano, soprattutto della Val Calore, ma anche delle province di Avellino e di Caserta, dove - a parte comprensibili varianti nella denominazione - l'uva risulta essere sempre la stessa per i comuni caratteri genetici.
L'Aglianicone differisce, invece - e notevolmente - nella provincia di Benevento, pur conservando il medesimo nome. Resta, in ogni caso, una certa parentela di quest'uva con l'Aglianico, anche se si distingue per diverse caratteristiche, a partire da quelle fisiologiche.
Così il Tronto, allevato a pergole, con due o tre ceppi per posta, soprattutto a Furore - dove concorre come vitigno complementare nella DOC Costa d'Amalfi Rosso, sottozona Furore - ma anche ad Amalfi e Positano, continua ad interessare gli enologi per il suo comportamento, al tempo stesso distinto, ma confinante con quello dell'Aglianico.

Serpentaria
I caratteri di questo vitigno hanno alimentato una letteratura piuttosto confusa e contraddittoria, che ha spesso identificato la Serpentaria con il Piedirosso, la Streppa Rossa e il Mangiaguerra, uve storicamente presenti nella provincia di Napoli e di Salerno.
Vitigno di buona vigoria e resistenza ai parassiti, presenta grappolo conico o alato di taglia piccolo-media. Storicamente allevato nel territorio di Tramonti, nella Valle dell'Irno e sui Colli Picentini, entra nella composizione delle DOC Costa d'Amalfi e in alcune IGT.

Testo tratto da "Costa d'Amalfi. Borghi Divini" di Nino D'Antonio - Ci.Vin 2005.

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